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C'era la guerra...(9)
C'era la guerra (nona parte)
Un'inedita rilettura della 2^ Guerra Mondiale scritta da
D.L.A. SEGALA


(Nona parte)

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La Francia si arrende lasciando da sola l’Inghilterra a continuare la battaglia contro la Germania a sua volta ora affiancata dall’esercito italiano.
Tutto ciò avviene nel giro di pochi giorni in quel mese di giugno del 1940 apparentemente destinato a condizionare l’esito della guerra.

In quel periodo, infatti, è difficile immaginare cosa potrà più fermare Hitler dal suo proposito di dominio dell’Europa, e se da un lato l’appoggio militare di Mussolini ne rafforza la convinzione, dall’altro sarà sempre più evidente come l’Italia non sembri in grado di dare quell’apporto tale da pesare a nostro favore al probabile Tavolo della Pace.
Che l’esercito italiano non sia preparato ad affrontare la battaglia è evidenziato dalla scarsità di mezzi a disposizione e dal fatto che le poche armi siano vecchie, usurate e superate essendo le stesse utilizzate nella Grande Guerra, ma non solo.
Ad aggravare la situazione ci sono anche altri fattori non meno determinanti quali una non sufficiente preparazione al comando da parte di alcuni ufficiali e un diffuso malcontento tra le file dei soldati (e tra parte dell’opinione pubblica) nel trovarsi a combattere al fianco di un popolo, quello tedesco, non visto con molta simpatia.
Così, anche l’impressione positiva nella scelta di Mussolini di entrare in guerra solo per poter poi, a breve, spartirsi il bottino della vittoria, sarà destinata ad affievolirsi con il passare dei mesi e con la sopravvenuta convinzione che la battaglia sia destinata a durare a lungo.

Un chiaro esempio della nostra approssimazione militare si era vista sulle Alpi contro gli ormai arresi francesi, ma ciò che accadde di lì a poco potrebbe essere catalogato come comico e ridicolo se non avesse evidenti risvolti drammatici.
La storia insegna che il popolo italiano è fatto di grandi uomini, di eroi che riescono ad emergere per le loro grandi qualità a prescindere dalla realtà in cui vivono.

Uno di questi è Italo Balbo, nato il 6 giugno 1896 a Quartesana alle porte di Ferrara.
Figlio di due maestri elementari, cresce in una famiglia dai saldi principi monarchici e con grande rispetto per il servizio militare in una zona d’Italia all’epoca particolarmente animata da accesi contrasti fra il popolo contadino e una crescente ideologia socialista.
Sin da giovane Italo viene coinvolto nei dibattiti politici che si svolgono soprattutto al “Caffè Milano” di Ferrara e presto convintosi fervente repubblicano iniziano i suoi accesi contrasti con il padre.
A 25 anni cerca la fuga da casa per aggregarsi alla spedizione militare organizzata per liberare l’Albania dai turchi, ma il padre riesce farlo arrestare dalla polizia sventandone l’iniziativa.
Nel 1914, partecipando a Milano ad una manifestazione interventista, conosce Mussolini ed allo scoppio della Grande Guerra si arruola volontario con gli alpini.

La sua vera passione sono però gli aerei e tra le varie battaglie riesce a frequentare un corso di pilota all’aeronautica di Torino.
Si congeda con il grado di capitano e si guadagna due medaglie d’argento ed una di bronzo per meriti militari.

Subito dopo la guerra, nel 1920, si sposa (con la contessina Florio) ed aderisce al fascismo diventando presto segretario della federazione ferrarese ed organizzando le squadre d’azione.
Partecipa alla marcia su Roma nell’ottobre del 1922 e nel novembre del 1926 viene nominato segretario di stato dell’aviazione realizzando così il suo sogno.
E’ protagonista di diverse imprese tra le quali importanti trasvolate atlantiche e diviene molto popolare non solo in Italia ma in tutto il mondo.

Tanto successo e tanta popolarità hanno come conseguenza inevitabile la nascita di forti avversioni e gelosie all’interno del partito e lo stesso Mussolini inizia ad essere infastidito dal rischio che la diarchia (Duce e Re) potesse essere in qualche modo messa in ombra dal grande ferrarese.
Del resto, il carattere duro di Balbo, assolutista ed individualista e spesso critico nelle scelte del regime, dava a pensare che avesse ambizioni politiche tali da puntare alla creazione di una triarchia con lui protagonista.
Per queste ragioni Mussolini lo allontana dall’Italia nominandolo governatore degli stati africani della Tripolitania e della Cirenaica che sotto il suo patronato (con l’aggiunta della regione del Fezzan) si uniscono in un’unica colonia: la Libia.

E’ evidente che l’incarico di governatore, più che una promozione, sia opportuno chiamarlo “esilio” e da lì Italo Balbo si fa ben volere sia dal popolo africano che dai coloni favorendone l’integrazione così come la costruzione di grandi opere.
Non perde mai, però, l’abitudine a criticare le scelte del regime quali l’alleanza con la Germania, alcune decisioni di politica interna ed estera di Mussolini e la promulgazione delle leggi razziali.
E’ ovviamente contrario alla decisione di entrare in guerra nel giugno 1940 e ciò che accade il giorno 28 di quello stesso mese per molto tempo viene considerato non un caso fortuito ma un’azione premeditata.

Dopo qualche giorno di troppo vento per potersi alzare in volo, quel venerdì 28 giugno Italo Balbo decolla per una missione di ricognizione in territorio africano con il suo trimotore SM 79, armato da guerra, contrassegnato sulla fusoliera dalla scritta “I-MANU” dal nome della moglie Manuela.
Con lui salgono a bordo, oltre all’equipaggio, il nipote, il cognato ed il giornalista Nello Quilici (padre di Folco Quilici) con destinazione il campo di Sidi Azeis.
Ad affiancarli nel volo un altro aereo dalle medesime caratteristiche con a bordo il generale Felice Porro.

Naturalmente, prima della loro partenza, viene comunicata la rotta di volo all’aeroporto di Tobruch, ma lungo il viaggio, in prossimità proprio della città di Tobruch, Balbo vede delle fumate nere alzarsi dal suolo accompagnate dal rumore di forti esplosioni.
Si accorge immediatamente che una squadra di bimotori inglesi provenienti dal mare sta attaccando il campo e così, prima di proseguire verso la destinazione, decide di atterrare per verificare di persona gli eventuali danni causati dalla incursione nemica.
Come inizia la discesa verso l’aeroporto di Tobruch seguito dall’aereo con a bordo il generale, parte dalle batterie contraeree italiane prima una raffica di mitragliatrice seguita immediatamente da un intenso fuoco di artiglieria.

L’aereo con a bordo Balbo viene colpito, prende fuoco e si schianta al suolo.

Per la contraerea italiana il vedere la colonna di fumo alzarsi dai rottami dell’aereo è la convinzione di aver finalmente abbattuto il primo bombardiere inglese dall’inizio delle ostilità.
L’altro aereo, pur colpito ma ancora in grado di reggersi in volo, vira a bassa quota e si fa riconoscere spegnendo così l’entusiasmo e rendendo evidente il danno creato: la nostra contraerea ha abbattuto un aereo dei nostri.

I sospetti conseguenti all’accidentalità che porta alla morte di Italo Balbo sono tali che tra l’opinione pubblica si sparge la voce che si tratta di un attentato vero e proprio organizzato dal regime, ma nella realtà non fu così.
Si trattò di errore umano, pur difficilmente giustificabile se non dalla grande approssimazione e dalla forte impreparazione militare a cui si è già fatto cenno.
Infatti, se pur vero che in quel momento non fosse previsto alcun atterraggio e che ciò avvenne in un momento di forte confusione conseguente all’attacco nemico, bisogna considerare almeno due fattori: il primo è che gli aerei con a bordo Balbo e il generale Porro erano dei trimotori mentre quelli usati dagli inglesi nell’attacco erano bimotori (e la differenza, anche ad occhio nudo e da non esperti militari, è decisamente evidente), l’altra è che mentre l’attacco nemico arrivava (ovviamente) dal mare, i due nostri aerei provenivano dall’interno.

Il giorno successivo, sabato 29 giugno, le trasmissioni radiofoniche vengono interrotte sostituite da una melodia d’archi in sottofondo alla lettura del comunicato redatto dal Quartier generale delle Forze Armate italiane che annuncia il triste evento sottacendo l’esatto svolgimento dei fatti.

“Il giorno 28, volando sul cielo di Tobruch, durante un’azione di bombardamento nemico, l’apparecchio pilotato da Italo Balbo è precipitato in fiamme. Italo Balbo e i componenti dell’equipaggio sono periti Le bandiere delle Forze Armate d’Italia si inchinano in segno di omaggio e di alto onore alla memoria di Italo Balbo, volontario alpino della prima guerra mondiale, quadrunviro della rivoluzione, trasvolatore dell’Oceano, maresciallo dell’Aria, caduto al posto di combattimento”.

In questo capitolo della rilettura della Seconda Guerra Mondiale si è scelto di raccontare questo singolo episodio perché simbolico della realtà di quel periodo.
La vita e la morte di Italo Balbo raccontano di un grande italiano riconosciuto per le sue doti in tutto il mondo (qualche giorno dopo la sua scomparsa, in base ad una cavalleresca tradizione dell’aviazione, un aereo inglese lanciò sulla Libia un messaggio di cordoglio e di rispetto per la tragica scomparsa), ma anche di un’evidente impreparazione ad affrontare una guerra che, dichiarata per soli fini politici, si rivelerà la causa di immani tragedie oltre che la più evidente responsabile della caduta del fascismo ben oltre la reale volontà di “libertà” da parte del popolo italiano.

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