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C'era la guerra...(11)
C'era la guerra (undicesima parte)
Un'inedita rilettura della 2^ Guerra Mondiale scritta da
D.L.A. SEGALA


(Undicesima parte)

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Nel 1940 l’Italia cerca in Africa quei successi militari che, come abbiamo visto la scorsa volta, non saranno certo destinati ad arrivare dalla sfortunata esperienza nella guerra contro la Grecia.
All’epoca la Somalia era divisa in due parti: ad oriente gli italiani e ad occidente i britannici.
Quando il nostro esercito decide l’attacco agli inglesi superando con le proprie truppe i confini è il 3 agosto e la scelta della data non si rivelerà favorevole.

Partiti con il clima temperato e gradevole dell’altopiano harariano, lungo il cammino incontrarono prima venti freddi e piogge insistenti, poi nuovamente un clima piacevole con l’avvicinarsi dell’altopiano somalo nuovamente sostituito poi da tempo perturbato e rigido che alla fine si trasformò in torrida calura (45° all’ombra) una volta raggiunte le assolate pianure desertiche.
Furono probabilmente queste difficoltà incontrate nel viaggio (oltre alla cattiva condizione delle strade, una sola praticabile con i mezzi meccanici e le altre percorribili solo a dorso di cammello) che resero più difficoltosa del previsto la vittoria italiana contro un esercito ben più esiguo del nostro.
Quando il generale inglese Godwin-Austen si rese conto che la battaglia era persa, ripiegò con tutte le forze verso Berbera e lì si imbarcarono sulle navi già in attesa nel porto.
Gli italiani vi giunsero il 19 di agosto e la trovarono già abbandonata.

In questa pur breve battaglia le perdite di uomini furono sproporzionate fra le due parti.
L’esercito italiano contò 2.052 morti contro i 260 degli inglesi anche se entrò in possesso di tutto il materiale bellico abbandonato dai britannici.

La stampa italiana diede ovviamente grande risalto a questa vittoria.
“Vittoria totale in Somalia” – “Il tricolore sventola su Berbera” – “La Dunkerque britannica in Africa” sono alcuni dei titoli a nove colonne apparsi in quei giorni sui quotidiani.

Nelle nostre città la guerra si fa sempre più sentire e sono soprattutto le piccole cose, a volte banali, che ne risaltano l’aspetto.
Fra le tanti, in questa estate del 1940, l’annuncio che dall’1 all’8 settembre la tradizionale mostra del cinema di Venezia verrà sostituita da una rassegna di film italo-tedeschi e, nelle vie di Milano, i mezzi pubblici (i tram) sono oramai quasi esclusivamente condotti solo da donne.
Un piccolo episodio di cronaca, qui di seguito riportato e pubblicato martedì 20 agosto 1940, conferma le difficoltà conseguenti all’oscuramento:

“Milano.Il vigile urbano motociclista Giovanni V., percorrendo la scorsa notte via Melchiorre Gioia per ragioni di servizio, a causa della fitta oscurità andava violentemente a cozzare contro il pilastro del ponte ferroviario fratturandosi la base cranica. E’ stato ricoverato in fin di vita all’Ospedale Fatebenefratelli.”

Ciò che però più di ogni altra cosa segnerà il proseguo della guerra avviene a fine estate, il giorno 27 settembre.
In quel giorno, il ministro degli esteri del Reich von Ribbentrop, il ministro degli esteri italiano Ciano e l’ambasciatore nipponico in Germania Kurusu Saturo firmano a Berlino l’alleanza politica e militare fra i loro Paesi: il Patto Tripartito noto anche come “Patto Roberto” (ROma-BERlino-TOkyo).

Lo scopo è quello di creare un “nuovo ordine” mondiale sotto la guida in Europa di Germania ed Italia e del Giappone in Asia.
L’impegno è anche quello di reciproca assistenza (anche militare) qualora uno di essi venga attaccato da una potenza attualmente “non coinvolta nella guerra europea e nel conflitto cino-giapponese”.
A tale patto aderiranno anche Ungheria, Romania, Slovacchia, Bulgaria e Jugoslavia.

Quest’ultimo Stato lo farà solo il 25 marzo 1941, costretto a ciò dalle forti pressioni tedesche che oramai controllavano già quasi tutti i Balcani.
Lo fece contro il volere del popolo, tant’è che solo 2 giorni dopo, con un colpo di stato, il re (minorenne) Pietro II assunse il potere ed il 4 aprile firmò un patto di non aggressione con l’URSS.
Hitler non indugiò ed invase la Jugoslavia sottomettendola ai suoi voleri.

Verso la fine dell’anno, anche l’unica vera vittoria sin qui ottenuta dopo le delusioni greche e le sconfitte della nostra flotta nel mediterraneo (delle quali abbiamo già parlato la volta scorsa), si appresta a prendere una piega negativa.
I britannici, infatti, non hanno del tutto abbandonato l’idea di riconquistare la Somalia ed ai primi di dicembre la loro controffensiva comporta una continua riturata delle nostre truppe verso la Cirenaica.
Il 21 gennaio 1941 perdiamo la cruciale città di Tobruk, il 24 gennaio abbandoniamo la Cirenaica ed il 6 febbraio passa agli inglesi anche la città di Bengasi: come in Grecia, anche in Africa fu a quel punto necessario chiedere l’aiuto ai tedeschi.

Cresce il malcontento, nelle strade, nelle piazze, fra la gente comune.
La guerra doveva essere facile, veloce e praticamente indolore tanto era la forza nostra e dei tedeschi, ma ai sacrifici della vita di tutti i giorni dovuti all’incubo dei bombardamenti come a quello delle continue rinunce e al razionamento dei generi alimentari, si unisce l’insoddisfazione data dal comportamento delle nostre forze militari.
Sono sempre di più i cittadini che, seppur di nascosto e correndo una grande rischio, ascoltano “Radio Londra” perché aumenta la diffidenza nei confronti della stampa.
L’immagine e la credibilità del regime fascista sono forse per la prima volta seriamente a rischio di tenuta.

Mussolini, verso la fine del 1940, sostituisce i massimi comandanti militari ritenendoli responsabili delle sconfitte, ma questo non basta e così anche la stampa inizia ad ammettere che sul fronte le cose non vanno poi così bene anche se insisterà nell’enfatizzare sull’eroica resistenza italiana.
Che in Somalia stiamo perdendo, del resto, gli italiani lo apprendono dai giornali solo qualche giorno dopo che la stessa notizia viene trasmessa da Radio Londra e questo non fa che accrescerne la credibilità
Così, la stessa emittente, cavalca l’ipotesi che il regime possa addirittura essere rovesciato ed il giorno 26 gennaio dà notizia di “gravi torbidi” scoppiati sia a Milano che a Torino che obbligano l’intervento di truppe tedesche per ristabilire la calma.

In effetti, per assistere a vere e proprie mobilitazioni di massa organizzate bisognerà attendere ancora sino al 1943, ma il Partito Fascista qualcosa deve fare per far sì che questo “fronte interno” non prenda corpo anche per salvare la faccia davanti ai tedeschi che incominciano a porsi qualche domanda di troppo sulla tenuta popolare del Duce.
Così, proprio a Milano e a Torino (definite “città turbolente” da Radio Londra) così come a Verona e a Trieste vengono organizzate imponenti manifestazioni antibritanniche e di sostegno al regime alle quali partecipano centinaia di migliaia di cittadini.
Il 1° febbraio cade il XVIII annuale della Milizia e l’occasione è più che propizia per ribadire l’unità fra il popolo e il suo Duce, ma, come abbiamo ricordato, solo pochi giorni dopo cadrà Bengasi ed il generale Graziani verrà esonerato e mandato sotto inchiesta.







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